Atti degli Apostoli 26:1-32
Approfondimenti
setta Il sostantivo greco reso “setta” (hàiresis, da cui l’italiano “eresia”) probabilmente significava in origine “scelta”. Il termine è utilizzato in questo senso in Le 22:18 nella Settanta, in riferimento ai doni che gli israeliti facevano volontariamente, cioè per scelta. Nelle Scritture Greche Cristiane questa parola si riferisce a un gruppo di persone che sostengono punti di vista o dottrine peculiari. È usata a proposito degli aderenti ai due rami principali del giudaismo, rappresentati da farisei e sadducei (At 5:17; 15:5; 26:5). I non cristiani definirono il cristianesimo una “setta” o la “setta dei nazareni”, forse considerandolo una deviazione dal giudaismo (At 24:5, 14; 28:22). Il termine hàiresis era anche utilizzato per descrivere gruppi che si svilupparono all’interno della congregazione cristiana. Gesù diede grande rilievo al valore dell’unità e pregò che potesse regnare fra i suoi discepoli (Gv 17:21); quanto agli apostoli, si impegnarono per preservarla nella congregazione cristiana (1Co 1:10; Gda 17-19). Se i membri della congregazione si fossero separati in gruppi o in fazioni, avrebbero mandato in frantumi quell’unità. Perciò, essendo usata per designare tali gruppi, la parola hàiresis acquisì il significato negativo di fazione, gruppo divisivo, setta. Una divergenza dottrinale poteva dare origine a violente dispute, dissensi e anche ostilità. (Confronta At 23:7-10.) Le sette, considerate “opere della carne”, andavano quindi evitate (Gal 5:19-21; 1Co 11:19; 2Pt 2:1).
setta della nostra religione O “setta della nostra forma di adorazione”. (Vedi approfondimento ad At 24:5.)
rendendogli [...] sacro servizio Il verbo greco originale (latrèuo) significa fondamentalmente “servire”. Per come viene usato nelle Scritture, generalmente si riferisce al servire Dio o al servizio legato all’adorazione a lui resa (Mt 4:10; Lu 2:37; 4:8; At 7:7; Ro 1:9; Flp 3:3; 2Tm 1:3; Eb 9:14; 12:28; Ri 7:15; 22:3); può anche riferirsi al servizio svolto presso il santuario o il tempio (Eb 8:5; 9:9, nt.; 10:2, nt.; 13:10). Per questo motivo, in alcuni contesti l’espressione può essere tradotta “adorare”. Talvolta questo verbo viene usato anche a proposito della falsa adorazione, cioè del servizio, o culto, reso a cose create (At 7:42; Ro 1:25). In alcune traduzioni in ebraico delle Scritture Greche Cristiane (a cui si fa riferimento con J14-17 nell’App. C4) qui si legge “servendo [o “adorando”] Geova”.
il Nazareno Appellativo usato per Gesù e successivamente per i suoi discepoli (At 24:5). Dato che erano molti gli ebrei che si chiamavano Gesù, era comune aggiungere una specifica che permettesse di identificare la persona; nei tempi biblici era consuetudine associare qualcuno al suo luogo di origine (2Sa 3:2, 3; 17:27; 23:25-39; Na 1:1; At 13:1; 21:29). Gesù visse buona parte della sua vita a Nazaret, in Galilea, quindi era naturale usare questo appellativo nei suoi confronti. Gesù venne chiamato “il Nazareno” in varie situazioni e da persone diverse (Mr 1:23, 24; 10:46, 47; 14:66-69; 16:5, 6; Lu 24:13-19; Gv 18:1-7). Gesù stesso accettò e usò questo nome (Gv 18:5-8; At 22:6-8). La scritta in ebraico, in latino e in greco che Pilato pose sul palo di tortura diceva: “Gesù il Nazareno, il re dei giudei” (Gv 19:19, 20). Dalla Pentecoste del 33 in poi gli apostoli, e anche altri, spesso parlarono di Gesù come del Nazareno o indicarono che era di Nazaret (At 2:22; 3:6; 4:10; 6:14; 10:38; 26:9; vedi anche approfondimenti a Mt 2:23).
il Nazareno Vedi approfondimento a Mr 10:47.
votavo Lett. “diedi un sassolino”, ovvero il sassolino usato per il voto. Il termine greco psèfos indica una piccola pietra; in Ri 2:17 è tradotto “sassolino”. Si trattava di sassolini usati in tribunale per emettere un giudizio o esprimere un’opinione di innocenza o colpevolezza. Quelli usati per dichiarare innocente o prosciogliere qualcuno erano bianchi, mentre quelli usati per dichiarare colpevole o condannare qualcuno erano neri.
ebraico Vedi approfondimento a Gv 5:2.
ricalcitrare contro i pungoli Il pungolo è un bastone appuntito usato per incitare un animale a procedere (Gdc 3:31). L’espressione “ricalcitrare contro i pungoli” è un proverbio che ricorre nella letteratura greca. Trae spunto dall’immagine di un toro ostinato che, a furia di scalciare per resistere agli stimoli del pungolo, finisce per ferirsi. Prima di diventare cristiano, Saulo si comportò in modo simile: opponendosi ai discepoli di Gesù, che avevano il sostegno di Geova Dio, rischiò di fare del male a sé stesso. (Confronta At 5:38, 39; 1Tm 1:13, 14.) In Ec 12:11 i “pungoli” sono usati in senso metaforico per indicare le parole dei saggi che spingono chi le ascolta ad accettare i consigli.
ebraico Nelle Scritture Greche Cristiane, gli scrittori biblici ispirati usarono il termine “ebraico” per indicare la lingua parlata dai giudei (Gv 19:13, 17, 20; At 21:40; 22:2; Ri 9:11; 16:16), come pure la lingua in cui Gesù, una volta risuscitato e glorificato, si rivolse a Saulo di Tarso (At 26:14, 15). In At 6:1 si fa una distinzione fra “giudei di lingua ebraica” e “giudei di lingua greca”. Anche se alcuni studiosi ritengono che in questi riferimenti il termine “ebraico” andrebbe reso “aramaico”, ci sono validi motivi per credere che il termine si riferisca effettivamente alla lingua ebraica. In At 21:40; 22:2 il medico Luca dice che Paolo parlò agli abitanti di Gerusalemme “in ebraico”; in quella circostanza Paolo si stava rivolgendo a persone la cui vita era incentrata sullo studio della Legge mosaica in lingua ebraica. Inoltre, fra i tanti frammenti e manoscritti che costituiscono i Rotoli del Mar Morto, la prevalenza di testi biblici e non biblici in ebraico mostra che questa lingua era usata quotidianamente. E la presenza, seppur minore, di frammenti in aramaico dimostra che venivano utilizzate entrambe le lingue. Sembra quindi molto improbabile che con il termine “ebraico” gli scrittori biblici si riferissero all’aramaico o al siriaco. (Confronta At 26:14.) In precedenza le Scritture Ebraiche avevano distinto l’“aramaico” dalla “lingua dei giudei” (2Re 18:26), e Giuseppe Flavio, storico del I secolo, in riferimento a questo stesso passo biblico parla dell’“aramaico” e dell’“ebraico” come di due lingue diverse (Antichità giudaiche, X, 8 [i, 2]). È vero che l’aramaico e l’ebraico presentano termini abbastanza simili e che forse altri termini ebraici sono prestiti dall’aramaico, ma sembra che non ci sia alcuna ragione per cui gli scrittori delle Scritture Greche Cristiane dovessero dire “ebraico” se intendevano “aramaico”.
frutti che dimostrino pentimento Il plurale del termine greco per “frutto” (karpòs) qui ha un significato metaforico: si riferisce ad azioni che avrebbero dato prova di un cambiamento nel modo di pensare e di comportarsi da parte di coloro che ascoltavano Giovanni (Mt 3:8; At 26:20; vedi approfondimenti a Mt 3:2, 11 e Glossario, “pentimento”).
Pentitevi Il termine greco qui usato potrebbe essere tradotto letteralmente “cambiare mente”, intendendo un cambiamento nei pensieri, negli atteggiamenti o nelle intenzioni. In questo contesto il verbo “pentirsi” viene usato in riferimento al rapporto che una persona ha con Dio. (Vedi approfondimenti a Mt 3:8, 11 e Glossario, “pentimento”.)
pentirsi Il termine greco qui usato potrebbe essere tradotto letteralmente “cambiare mente”, intendendo un cambiamento nei pensieri, negli atteggiamenti o nelle intenzioni. In questo contesto, l’esortazione è associata all’espressione convertirsi a Dio, perciò ha a che fare con il rapporto che si ha con Dio. Perché una persona sia sinceramente pentita deve compiere opere che dimostrino pentimento. In altre parole deve dar prova che c’è stato davvero un cambiamento nel suo modo di pensare e di comportarsi. (Vedi approfondimenti a Mt 3:2, 8; Lu 3:8 e Glossario, “pentimento”.)
frutti che dimostrino pentimento Azioni che avrebbero dato prova di un cambiamento nel modo di pensare e di comportarsi da parte di coloro che ascoltavano Giovanni (Lu 3:8; At 26:20; vedi approfondimenti a Mt 3:2, 11 e Glossario, “pentimento”).
cristiano Vedi approfondimento ad At 11:26.
cristiani Il termine greco Christianòs, che significa “discepolo di Cristo”, ricorre solo tre volte nelle Scritture Greche Cristiane (At 11:26; 26:28; 1Pt 4:16). Deriva da Christòs, che significa “Cristo”, o “Unto”. I cristiani seguono l’esempio e gli insegnamenti di Gesù, “il Cristo”, colui che è stato unto da Geova (Lu 2:26; 4:18). Il nome “cristiani” fu introdotto “per volontà divina” forse già nel 44, quando ebbero luogo gli avvenimenti menzionati nel contesto di questo versetto. A quanto pare il nome si era così ampiamente affermato che, quando Paolo comparve davanti al re Erode Agrippa II intorno al 58, Agrippa sapeva chi erano i cristiani (At 26:28). Lo storico Tacito indica che a Roma nel 64 circa il termine “cristiano” era in uso tra la gente comune. Inoltre, tra il 62 e il 64 Pietro scrisse la sua prima lettera ai cristiani dispersi nell’impero romano. Sembra che a quel punto il nome “cristiano” fosse diffuso, specifico e inequivocabile (1Pt 1:1, 2; 4:16). Con questo nome provveduto da Dio i discepoli di Gesù non potevano più essere scambiati per una setta del giudaismo.
a Cesare O “all’imperatore”. L’imperatore romano all’epoca del ministero terreno di Gesù era Tiberio, ma “Cesare” non si riferiva solo all’imperatore regnante. Poteva simboleggiare l’autorità civile romana (lo Stato) e i suoi rappresentanti, che Paolo chiama “autorità superiori” e a cui Pietro fa riferimento parlando del “re” e dei suoi “governatori” (Ro 13:1-7; 1Pt 2:13-17; Tit 3:1; vedi Glossario, “Cesare”).
di Cesare O “dell’imperatore”. A quel tempo l’imperatore romano era Claudio, che governò dal 41 al 54 (At 11:28; 18:2; vedi approfondimento a Mt 22:17 e Glossario, “Cesare”).
a Cesare O “all’imperatore”. All’epoca l’imperatore romano in carica era Nerone, il quale regnò dal 54 al 68, quando si suicidò all’età di circa 31 anni. Tutti i riferimenti a Cesare dal capitolo 25 al 28 del libro degli Atti alludono a Nerone. (Vedi approfondimenti a Mt 22:17; At 17:7 e Glossario, “Cesare”.)