Lettera ai Filippesi 3:1-21

3  Per il resto, fratelli miei, continuate a rallegrarvi nel Signore.+ Scrivervi le stesse cose non mi pesa, e per voi è una salvaguardia.  Guardatevi dai cani, guardatevi da quelli che fanno il male, guardatevi da quelli che mutilano il corpo.+  Siamo noi quelli con la vera circoncisione,+ noi che rendiamo sacro servizio mediante lo spirito di Dio, che abbiamo il nostro motivo di vanto in Cristo Gesù+ e non riponiamo la nostra fiducia nella carne;  eppure io avrei indubbiamente ragione di riporre la mia fiducia nella carne. Se qualcun altro pensa di avere delle ragioni per riporre fiducia nella carne, io ne ho di più:  circonciso l’ottavo giorno,+ della nazione d’Israele, della tribù di Beniamino, ebreo nato da ebrei;+ quanto alla legge, fariseo;+  quanto allo zelo, persecutore della congregazione;+ quanto alla giustizia che deriva dalla legge, uno che si era dimostrato irreprensibile.  Eppure le cose che per me erano guadagni le ho considerate una perdita* a motivo del Cristo.+  Anzi, ritengo che tutto sia una perdita di fronte all’ineguagliabile valore della conoscenza di Cristo Gesù mio Signore. A motivo suo ho accettato di perdere tutto, e considero tutto un mucchio di rifiuti per poter guadagnare Cristo  ed essere trovato unito a lui, non grazie alla mia propria giustizia che deriva dall’osservanza della Legge, ma grazie alla giustizia che nasce dalla fede+ in Cristo,+ la giustizia che viene da Dio e si basa sulla fede.+ 10  Il mio obiettivo è di conoscere lui e la potenza della sua risurrezione+ e di partecipare alle sue sofferenze,+ assoggettandomi a una morte simile alla sua,+ 11  nella speranza di poter in qualche modo conseguire la risurrezione dai morti che avrà luogo prima.+ 12  Non che io abbia già ricevuto il premio o sia già arrivato alla perfezione;* ma proseguo+ per cercare di ottenere* ciò per cui Cristo Gesù mi ha scelto.*+ 13  Fratelli, non ritengo di averlo già ottenuto, ma una cosa è certa: dimenticando quello che ho alle spalle+ e protendendomi verso quello che sta davanti,+ 14  proseguo verso la meta per ricevere il premio+ della chiamata celeste+ di Dio mediante Cristo Gesù. 15  Perciò noi che siamo maturi+ dobbiamo avere questo modo di pensare; e se sotto qualche aspetto la pensate diversamente, Dio vi rivelerà il modo di pensare corretto. 16  In ogni caso, qualunque progresso abbiamo già fatto, continuiamo su questa stessa strada. 17  Imitate uniti il mio esempio,+ fratelli, e osservate quelli che seguono* il modello che avete in noi. 18  Molti infatti (ne parlavo spesso, ma ora ne parlo piangendo) si comportano* da nemici del palo di tortura del Cristo. 19  La loro sorte è la distruzione, il loro dio è il loro ventre,+ la loro gloria è in realtà la loro vergogna, e la loro mente è rivolta alle cose terrene.+ 20  La nostra cittadinanza+ invece è nei cieli,+ e da lì aspettiamo ansiosamente un salvatore, il Signore Gesù Cristo,+ 21  il quale, con la grande potenza che gli permette di sottomettere a sé ogni cosa,+ trasformerà il nostro misero corpo perché sia come il suo corpo glorioso.+

Note in calce

O forse “vi ho rinunciato volontariamente”.
Lett. “afferrare”.
O “sia già stato reso perfetto”.
Lett. “afferrato”.
O “camminano secondo”.
O “camminano”.

Approfondimenti

Rallegratevi sempre nel Signore Ancora una volta Paolo incoraggia i filippesi a rallegrarsi nel Signore. (Vedi approfondimento a Flp 3:1.) Anche se in questo contesto il titolo “Signore” può riferirsi sia a Geova Dio sia a Gesù Cristo, Paolo sembra riecheggiare alcune esortazioni che si trovano nelle Scritture Ebraiche e che si riferiscono a Geova (Sl 32:11; 97:12).

continuate a rallegrarvi nel Signore Nella lettera ai Filippesi, più volte Paolo esprime la propria gioia e incoraggia i fratelli a rallegrarsi (Flp 1:18; 2:17, 18, 28, 29; 4:1, 4, 10). L’enfasi che Paolo dà alla gioia è sorprendente se si pensa che a quanto pare scrisse questa lettera mentre era agli arresti domiciliari. L’espressione “nel Signore” può essere intesa “riguardo [o “unitamente”] al Signore” oppure “a motivo del Signore”. In questo contesto il titolo “Signore” potrebbe riferirsi sia a Geova Dio sia a Gesù Cristo, ma le parole di Paolo sembrano fare eco a esortazioni simili che si trovano nelle Scritture Ebraiche e che si riferiscono a Geova (Sl 32:11; 97:12; vedi “Introduzione a Filippesi” e approfondimento a Flp 4:4).

Siamo noi quelli con la vera circoncisione Alla lettera questa espressione si può rendere “noi siamo la circoncisione”. Paolo qui parla dei cristiani come del gruppo che ha l’unica circoncisione ormai richiesta e approvata da Dio, la circoncisione del cuore. (Vedi approfondimento a Ro 2:29.) Le parole che usa sembrano completare un gioco di parole che ha iniziato nel versetto precedente. (Vedi approfondimento a Flp 3:2.)

Non date ciò che è santo ai cani, né gettate le vostre perle ai porci Secondo la Legge mosaica il maiale e il cane erano impuri (Le 11:7, 27). Era permesso gettare ai cani la carne di un animale ucciso da un animale selvatico (Eso 22:31), ma la tradizione giudaica proibiva di dare ai cani “carne santa”, ovvero la carne dei sacrifici animali. In Mt 7:6 i termini “cani” e “porci” sono usati simbolicamente in riferimento a coloro che non danno valore ai tesori spirituali. Proprio come i porci non attribuiscono valore alle perle e potrebbero fare del male a chi le getta loro, le persone che non danno valore ai tesori spirituali potrebbero maltrattare chi li condivide con loro.

Guardatevi Nell’originale del versetto Paolo ripete questo verbo tre volte, e ogni volta il verbo è seguito da un sostantivo che inizia con la stessa consonante. (Vedi Kingdom Interlinear.) Si tratta di un artificio retorico che aggiunge enfasi e dà un ritmo incalzante alle sue parole. Inoltre, la triplice descrizione di coloro che mettevano in pericolo la fede dei filippesi è in antitesi con la triplice descrizione delle persone fedeli menzionate nel versetto successivo.

cani Paolo qui usa la parola “cani” in senso metaforico per riferirsi ai falsi maestri, molti dei quali giudaizzanti, dai quali i filippesi dovevano guardarsi. Secondo la Legge mosaica i cani erano animali impuri, e nelle Scritture vengono spesso menzionati in senso dispregiativo (Le 11:27; vedi approfondimento a Mt 7:6). Nelle città i cani solitamente si nutrivano di quello che riuscivano a trovare tra i rifiuti, perciò mangiavano cose disgustose, soprattutto per coloro ai quali era stato insegnato il rispetto dei precetti della Legge mosaica (Eso 22:31; 1Re 14:11; 21:19; Pr 26:11). Nelle Scritture Ebraiche i nemici dei fedeli servitori di Geova sono a volte paragonati a cani (Sl 22:16; 59:5, 6). Descrivendo i falsi maestri come cani, Paolo vuole smascherare il fatto che questi uomini sono impuri e inadeguati a impartire insegnamenti cristiani.

quelli che mutilano il corpo Con queste parole Paolo si sta riferendo ai sostenitori della circoncisione. Nell’originale usa un’espressione che alla lettera significa “la mutilazione”, forse per fare un gioco di parole con l’espressione greca “la circoncisione” del versetto successivo, tradotta “quelli con la vera circoncisione”. (Vedi approfondimento a Flp 3:3.)

circoncisione [...] del cuore Il concetto di “circoncisione” ricorre in senso figurato sia nelle Scritture Ebraiche che in quelle Greche Cristiane. (Vedi Glossario, “circoncisione”.) Geova richiedeva la “circoncisione [...] del cuore” anche dagli israeliti che erano già circoncisi letteralmente. Secondo una resa letterale, in De 10:16 e 30:6 (vedi ntt.) Mosè disse al popolo di Israele: “Dovete circoncidere il prepuzio dei vostri cuori” e “Geova tuo Dio circonciderà il tuo cuore e il cuore dei tuoi discendenti”. Geremia ricordò la stessa cosa alla nazione caparbia dei suoi giorni (Ger 4:4). “Circoncidere” il cuore significa purificarlo eliminando dai propri pensieri, affetti o motivi tutto quello che è sgradito o impuro agli occhi di Geova e che quindi rende il cuore insensibile alla Sua guida. Anche gli orecchi che sono chiusi e insensibili alla guida di Geova sono definiti “incirconcisi” (Ger 6:10, nt.; vedi approfondimento ad At 7:51).

quelli che mutilano il corpo Con queste parole Paolo si sta riferendo ai sostenitori della circoncisione. Nell’originale usa un’espressione che alla lettera significa “la mutilazione”, forse per fare un gioco di parole con l’espressione greca “la circoncisione” del versetto successivo, tradotta “quelli con la vera circoncisione”. (Vedi approfondimento a Flp 3:3.)

Siamo noi quelli con la vera circoncisione Alla lettera questa espressione si può rendere “noi siamo la circoncisione”. Paolo qui parla dei cristiani come del gruppo che ha l’unica circoncisione ormai richiesta e approvata da Dio, la circoncisione del cuore. (Vedi approfondimento a Ro 2:29.) Le parole che usa sembrano completare un gioco di parole che ha iniziato nel versetto precedente. (Vedi approfondimento a Flp 3:2.)

rendiamo sacro servizio O “serviamo”, “adoriamo”. Il verbo greco originale (latrèuo) fondamentalmente significa “servire”. Per come viene usato nelle Scritture, si riferisce al servire Dio o al compiere un atto legato all’adorazione a lui resa (Mt 4:10; Lu 2:37; At 7:7; Ro 1:9; 2Tm 1:3; Eb 9:14; Ri 22:3).

io avrei [...] ragione di riporre la mia fiducia nella carne Con il termine “carne” Paolo si riferisce a cose che gli avrebbero potuto dare vantaggi dal punto di vista umano, come quelle che elenca nei vv. 5 e 6.

un mucchio di rifiuti La parola originale resa “mucchio di rifiuti” compare solo qui nelle Scritture Greche Cristiane. Potrebbe essere tradotta anche “spazzatura”, “immondizia” o addirittura “escrementi”. Con questa espressione così forte Paolo descrive il valore del tutto relativo che ora dava a vantaggi e obiettivi che invece, prima di diventare cristiano, avevano avuto per lui una grande rilevanza. (Vedi approfondimento a Flp 3:5.) Esprime inoltre la sua determinazione a non volersi mai voltare indietro per rimpiangere la scelta di aver rinunciato a quei vantaggi. Anzi, tutte quelle cose che un tempo erano state così importanti ai suoi occhi, ora le considerava niente più che spazzatura se messe a confronto con l’“ineguagliabile valore della conoscenza di Cristo Gesù”.

ebrei [...] israeliti [...] discendenti di Abraamo Paolo si sofferma sul proprio retaggio familiare, probabilmente perché alcuni dei suoi detrattori a Corinto si vantavano delle loro radici e della loro identità ebraiche. Prima di tutto si definisce ebreo, forse per enfatizzare i legami che la sua famiglia aveva con i patriarchi, inclusi Abraamo e Mosè (Gen 14:13; Eso 2:11; Flp 3:4, 5), oppure anche per richiamare il fatto che sapeva parlare l’ebraico (At 21:40–22:2; 26:14, 15). Poi si definisce israelita, termine a volte utilizzato per riferirsi agli ebrei (At 13:16; Ro 9:3, 4). Infine dichiara specificamente di discendere da Abraamo, sottolineando così di essere tra coloro che avrebbero ereditato le promesse fatte da Dio ad Abraamo (Gen 22:17, 18). Paolo però non dava troppa importanza a questi fattori umani (Flp 3:7, 8).

guadagni [...] perdita Paolo qui usa due termini che appartenevano all’ambito commerciale per riferirsi a quelli che potevano essere considerati dei vantaggi. Ad esempio, era stato educato quale fariseo (Flp 3:5, 6). Inoltre per nascita godeva di tutti i vantaggi e i diritti della cittadinanza romana (At 22:28). Essendo stato studente di Gamaliele, poi, era molto istruito e parlava correntemente sia ebraico che greco (At 21:37, 40; 22:3). Alla luce di tutto questo, avrebbe potuto diventare un personaggio di spicco del giudaismo. Per seguire Cristo, però, aveva rinunciato a quelle possibilità e a quei vantaggi, reputandoli senza valore. Le sue scelte furono in armonia con il consiglio che Gesù aveva dato ai discepoli, cioè di valutare con attenzione le loro priorità rispetto a cosa considerare guadagni o perdite (Mt 16:26).

io sono fariseo Tra quelli che ascoltavano Paolo c’erano alcuni che lo conoscevano (At 22:5). Quando Paolo disse di essere figlio di farisei, i farisei del Sinedrio non pensarono che Paolo stesse cercando di ingannarli, dal momento che sapevano che era diventato un fervente cristiano. Avranno capito che stava riconoscendo che avevano un retaggio comune. In questo contesto le parole di Paolo a proposito del suo essere fariseo potevano alludere a qualcosa di specifico: Paolo si definì un fariseo, e non un sadduceo, perché come i farisei credeva nella risurrezione. In questo modo stabilì una base comune con i farisei lì presenti. Sollevando questa questione controversa, a quanto pare sperava che alcuni membri del Sinedrio sarebbero stati dalla sua parte; e la strategia risultò vincente (At 23:7-9). Le parole di Paolo qui in At 23:6 sono in armonia anche con quanto in seguito lui disse riguardo a sé quando si difese davanti al re Agrippa (At 26:5). E quando da Roma scrisse ai cristiani di Filippi, Paolo accennò di nuovo al suo passato da fariseo (Flp 3:5). È degno di nota inoltre il modo in cui in At 15:5 si fa riferimento ad altri cristiani che erano stati farisei. (Vedi approfondimento ad At 15:5.)

quelli della setta dei farisei A quanto pare, in qualche modo questi cristiani venivano ancora identificati con l’ambiente farisaico da cui provenivano. (Confronta approfondimento ad At 23:6.)

della tribù di Beniamino In questo versetto e in Ro 11:1, Paolo spiega di appartenere alla tribù di Beniamino. Qui lo fa per mettere in luce un aspetto delle sue radici ebraiche. Beniamino era una tribù rispettata. Riguardo ai discendenti di Beniamino, il patriarca Giacobbe aveva fatto questa profezia in punto di morte: “Beniamino sarà come un lupo che sbrana. La mattina mangerà la preda e la sera dividerà il bottino” (Gen 49:27). E infatti da questa tribù vennero molti guerrieri esperti e intrepidi che combatterono come lupi per difendere il popolo di Geova. Alcuni beniaminiti adempirono questa profezia “la mattina”, ovvero all’alba della monarchia che Geova istituì in Israele; altri lo fecero “la sera”, ovvero dopo il tramonto di quella monarchia (1Sa 9:15-17; 1Cr 12:2; Est 2:5-7). Anche Paolo si dimostrò un valoroso guerriero: combatté una guerra spirituale contro dottrine e pratiche false. Ebbe inoltre un ruolo determinante nell’insegnare a innumerevoli cristiani come combattere questa guerra (Ef 6:11-17).

ebreo nato da ebrei Qui Paolo sottolinea un aspetto ribadito anche in 2Co 11:22, ovvero le sue radici ebraiche. (Vedi approfondimento.) In pratica Paolo sta dicendo di essere ebreo a tutti gli effetti, di non discendere da una qualunque famiglia non ebrea. Potrebbe essere stato spinto a dire questa cosa a motivo dei falsi maestri che mettevano in dubbio il suo retaggio ebraico e si vantavano del proprio. Paolo, comunque, chiarisce che per lui questi fattori umani non contano un granché. (Vedi approfondimenti a Flp 3:7, 8.)

quanto alla legge, fariseo Paolo qui spiega che il suo retaggio è legato al giudaismo. Probabilmente intende dire che è stato cresciuto da genitori che aderivano al farisaismo, un ramo del giudaismo. (Vedi approfondimento ad At 23:6.) Anche altri cristiani erano stati in precedenza farisei. In At 15:5 (vedi approfondimento) vengono definiti “quelli della setta dei farisei”.

guadagni [...] perdita Paolo qui usa due termini che appartenevano all’ambito commerciale per riferirsi a quelli che potevano essere considerati dei vantaggi. Ad esempio, era stato educato quale fariseo (Flp 3:5, 6). Inoltre per nascita godeva di tutti i vantaggi e i diritti della cittadinanza romana (At 22:28). Essendo stato studente di Gamaliele, poi, era molto istruito e parlava correntemente sia ebraico che greco (At 21:37, 40; 22:3). Alla luce di tutto questo, avrebbe potuto diventare un personaggio di spicco del giudaismo. Per seguire Cristo, però, aveva rinunciato a quelle possibilità e a quei vantaggi, reputandoli senza valore. Le sue scelte furono in armonia con il consiglio che Gesù aveva dato ai discepoli, cioè di valutare con attenzione le loro priorità rispetto a cosa considerare guadagni o perdite (Mt 16:26).

un mucchio di rifiuti La parola originale resa “mucchio di rifiuti” compare solo qui nelle Scritture Greche Cristiane. Potrebbe essere tradotta anche “spazzatura”, “immondizia” o addirittura “escrementi”. Con questa espressione così forte Paolo descrive il valore del tutto relativo che ora dava a vantaggi e obiettivi che invece, prima di diventare cristiano, avevano avuto per lui una grande rilevanza. (Vedi approfondimento a Flp 3:5.) Esprime inoltre la sua determinazione a non volersi mai voltare indietro per rimpiangere la scelta di aver rinunciato a quei vantaggi. Anzi, tutte quelle cose che un tempo erano state così importanti ai suoi occhi, ora le considerava niente più che spazzatura se messe a confronto con l’“ineguagliabile valore della conoscenza di Cristo Gesù”.

quanto alla legge, fariseo Paolo qui spiega che il suo retaggio è legato al giudaismo. Probabilmente intende dire che è stato cresciuto da genitori che aderivano al farisaismo, un ramo del giudaismo. (Vedi approfondimento ad At 23:6.) Anche altri cristiani erano stati in precedenza farisei. In At 15:5 (vedi approfondimento) vengono definiti “quelli della setta dei farisei”.

giustizia che nasce dalla fede in Cristo Vedi approfondimento a Gal 2:16.

è dichiarato giusto Nelle Scritture Greche Cristiane il verbo dikaiòo, generalmente reso “giustificare”, e i sostantivi affini dikàioma e dikàiosis, di solito resi “giustificazione”, contengono l’idea fondamentale di assolvere o prosciogliere da un’accusa, considerare innocente e quindi dichiarare giusto qualcuno e trattarlo come tale. (Vedi approfondimento a Ro 3:24.) Alcuni nelle congregazioni della Galazia si facevano influenzare dai giudaizzanti, i quali cercavano di affermare la loro condizione giusta compiendo le opere della Legge mosaica (Gal 5:4; vedi approfondimento a Gal 1:6). Qui però Paolo sottolinea che solo per mezzo della fede in Gesù Cristo è possibile essere considerati giusti da Dio. Infatti, sacrificando la sua vita perfetta, Gesù ha fornito la base perché Dio dichiari giusti quelli che esercitano fede in lui (Ro 3:19-24; 10:3, 4; Gal 3:10-12, 24).

assoggettandomi a una morte simile alla sua I cristiani unti con lo spirito si assoggettano a una morte simile a quella di Gesù nel senso che iniziano a vivere una vita di sacrificio, rinunciando tra le altre cose alla prospettiva di vivere per sempre sulla terra. Durante la loro vita dimostrano integrità nelle prove, partecipano alle sofferenze di Cristo e, in alcuni casi, rischiano ogni giorno la morte. Rimangono fedeli fino al giorno della morte, che pertanto è una morte come quella di Cristo. Successivamente vengono risuscitati come creature spirituali (Mr 10:38, 39; Ro 6:4, 5; vedi approfondimento a Ro 6:3).

siamo stati battezzati nella sua morte O “siamo stati immersi nella sua morte”. Il verbo greco che Paolo usa qui (baptìzo) significa “immergere”, “tuffare”. A partire dal suo battesimo in acqua nel 29, Gesù iniziò a sottoporsi a un altro battesimo, la vita di sacrificio di cui parlò in Mr 10:38. (Vedi approfondimento.) Quel battesimo continuò per tutto il suo ministero, e si concluse con la sua morte il 14 nisan del 33 e la sua risurrezione tre giorni dopo. Parlando di quel battesimo, Gesù disse che i suoi discepoli sarebbero stati “battezzati con il battesimo con cui [lui era] battezzato” (Mr 10:39). I cristiani unti con lo spirito, che sono membra del corpo di Cristo, vengono “battezzati nella sua morte” nel senso che iniziano a vivere una vita di sacrificio, rinunciando tra le altre cose alla prospettiva di vivere per sempre sulla terra. Questo battesimo continua per tutta la loro vita, mentre dimostrano la loro integrità nelle prove, e si conclude quando muoiono e vengono risuscitati come creature spirituali (Ro 6:4, 5).

la risurrezione [...] che avrà luogo prima Molte Bibbie traducono semplicemente “risurrezione” invece di “risurrezione che avrà luogo prima”. Ma qui Paolo non usa la parola consueta per “risurrezione” (anàstasis); ne usa una strettamente affine (exanàstasis), che compare solo qui nelle Scritture Greche Cristiane. Per questa ragione un buon numero di studiosi ritiene che la parola usata da Paolo si riferisca a uno speciale tipo di risurrezione. Il termine era utilizzato nella letteratura greca classica per indicare l’alzarsi presto al mattino. Pertanto, il fatto che Paolo usi questa specifica parola lascia intendere che avesse in mente una risurrezione che avviene prima (1Co 15:23; 1Ts 4:16) rispetto a quella generale che riporterà in vita i morti sulla terra (Gv 5:28, 29; At 24:15). Questa risurrezione, che è anche chiamata “la prima risurrezione”, riguarda la risurrezione degli unti discepoli di Cristo in cielo (Ri 20:4-6).

Cristo Gesù Alcuni manoscritti omettono “Gesù”, ma la lezione più lunga che è stata adottata nel testo è ben attestata nei manoscritti disponibili.

quanto alla legge, fariseo Paolo qui spiega che il suo retaggio è legato al giudaismo. Probabilmente intende dire che è stato cresciuto da genitori che aderivano al farisaismo, un ramo del giudaismo. (Vedi approfondimento ad At 23:6.) Anche altri cristiani erano stati in precedenza farisei. In At 15:5 (vedi approfondimento) vengono definiti “quelli della setta dei farisei”.

un mucchio di rifiuti La parola originale resa “mucchio di rifiuti” compare solo qui nelle Scritture Greche Cristiane. Potrebbe essere tradotta anche “spazzatura”, “immondizia” o addirittura “escrementi”. Con questa espressione così forte Paolo descrive il valore del tutto relativo che ora dava a vantaggi e obiettivi che invece, prima di diventare cristiano, avevano avuto per lui una grande rilevanza. (Vedi approfondimento a Flp 3:5.) Esprime inoltre la sua determinazione a non volersi mai voltare indietro per rimpiangere la scelta di aver rinunciato a quei vantaggi. Anzi, tutte quelle cose che un tempo erano state così importanti ai suoi occhi, ora le considerava niente più che spazzatura se messe a confronto con l’“ineguagliabile valore della conoscenza di Cristo Gesù”.

in una corsa tutti corrono Le gare di atletica erano parte integrante della cultura greca; Paolo se ne serve in modo efficace per fare degli esempi (1Co 9:24-27; Flp 3:14; 2Tm 2:5; 4:7, 8; Eb 12:1, 2). I cristiani di Corinto conoscevano bene le gare di atletica dei Giochi Istmici. Questi giochi si tenevano ogni due anni vicino a Corinto ed erano secondi per importanza solo ai Giochi Olimpici, che si tenevano a Olimpia. È probabile che Paolo fosse a Corinto durante i Giochi Istmici del 51. A questi eventi i corridori gareggiavano su diverse distanze. Nei suoi esempi Paolo fa riferimento a corridori e pugili per insegnare il valore della disciplina e della perseveranza, nonché l’importanza di fare sforzi mirati (1Co 9:26).

corsa Il termine “corsa” traduce il greco stàdion (lett. “stadio”), che può indicare la struttura in cui si svolgevano gare podistiche e altri eventi, una misura di lunghezza o la gara stessa. In questo contesto Paolo si riferisce alla gara. La lunghezza dello stàdion greco variava da un posto all’altro; a Corinto era di circa 165 m. La lunghezza di quello romano si aggirava intorno ai 185 m. (Vedi App. B14.)

il premio della chiamata celeste Paolo comprendeva che la sua speranza, così come quella dei suoi fratelli unti, era di governare in cielo con Cristo nel Regno messianico (2Tm 2:12; Ri 20:6). La “chiamata celeste” è in pratica un invito a far parte di quel Regno. Comunque coloro che sono “partecipi della chiamata [o “invito”, nt.] celeste” (Eb 3:1, 2) devono “rendere sicura la [loro] chiamata ed elezione” (2Pt 1:10) rimanendo “fedeli” alla chiamata ricevuta (Ri 17:14). Solo allora potranno ricevere “il premio” che è collegato a quell’invito. (Vedi approfondimento a Flp 3:20.)

dimenticando quello che ho alle spalle Il verbo greco originale qui reso “dimenticare” può significare “trascurare”, “essere noncurante”, “non preoccuparsi”. Ovviamente le cose che Paolo dice di avere alle spalle non erano state cancellate dalla sua memoria, dato che ne ha appena menzionate alcune. (Vedi approfondimento a Flp 3:5.) Il senso delle sue parole è piuttosto che, diventando cristiano, Paolo si era concentrato sulle cose che lo attendevano, grossomodo come un corridore si concentra sulla parte di corsa che gli rimane da correre. (Vedi l’approfondimento protendendomi verso quello che sta davanti in questo versetto.) Questa sua scelta lo aveva aiutato a dimenticare, o trascurare, quello che si era lasciato alle spalle, ovvero i vantaggi e le possibilità di cui godeva quale fautore del giudaismo. Paolo si rifiutava di indugiare sul passato perché di quelle cose non se ne curava più. (Vedi approfondimento a Flp 3:8.)

protendendomi verso quello che sta davanti Per come è formulata, questa espressione suggerisce che Paolo si sta paragonando a un corridore, forse riferendosi indirettamente agli atleti che gareggiavano nei giochi che si tenevano in Grecia. (Vedi approfondimenti a 1Co 9:24.) Quel contesto era familiare nel mondo classico, e spesso i corridori erano i soggetti di statue o erano dipinti su vasellame. Un corridore impegnato in una gara non si concentrava su quello che ormai era dietro di lui; farlo lo avrebbe solo rallentato. Luciano, autore greco del II secolo, fece ricorso a una simile immagine quando scrisse: “Non appena la fune [della partenza] cade a terra, il bravo corridore pensa solo ad andare avanti, si concentra sul traguardo e affida la vittoria alle sue gambe”. Così come l’atleta concentrava ogni sforzo sul suo obiettivo, cioè tagliare il traguardo, Paolo rimase concentrato non sulle mete mondane che si era lasciato alle spalle, ma sulla ricompensa che lo attendeva. (Vedi approfondimento a Flp 3:14.)

il premio della chiamata celeste Paolo comprendeva che la sua speranza, così come quella dei suoi fratelli unti, era di governare in cielo con Cristo nel Regno messianico (2Tm 2:12; Ri 20:6). La “chiamata celeste” è in pratica un invito a far parte di quel Regno. Comunque coloro che sono “partecipi della chiamata [o “invito”, nt.] celeste” (Eb 3:1, 2) devono “rendere sicura la [loro] chiamata ed elezione” (2Pt 1:10) rimanendo “fedeli” alla chiamata ricevuta (Ri 17:14). Solo allora potranno ricevere “il premio” che è collegato a quell’invito. (Vedi approfondimento a Flp 3:20.)

La nostra cittadinanza La città di Filippi era una colonia romana, e questo garantiva ai suoi abitanti molti privilegi. (Vedi approfondimenti ad At 16:12, 21.) Alcuni componenti della congregazione locale forse avevano una qualche forma di cittadinanza romana, cosa che all’epoca era tenuta in gran conto. La distinzione tra chi era cittadino e chi non lo era rappresentava una questione di una certa rilevanza. Qui però Paolo si riferisce a una cittadinanza di gran lunga superiore, quella nei cieli (Ef 2:19), ed esorta i cristiani unti a concentrarsi non sulle cose terrene (Flp 3:19) ma sulla loro vita futura quali cittadini dei cieli. (Vedi approfondimento a Flp 1:27.)

continuiamo su questa stessa strada Nell’espressione originale compare un verbo che letteralmente significa “camminare in fila”. Era utilizzato nei contesti militari per descrivere il modo ordinato e compatto in cui marciavano i soldati in prima linea. Passò poi a essere usato in senso figurato con il significato di “conformarsi” o “attenersi” a una certa linea di condotta o norma. A quanto pare Paolo aveva in mente una specifica strada lungo la quale avanzare: i fratelli di Filippi dovevano continuare a percorrere il loro cammino cristiano, attenendosi alle verità e alle norme di comportamento che avevano imparato. Nelle Scritture Greche Cristiane questo verbo compare anche in At 21:24; Ro 4:12 e Gal 5:25; 6:16.

nemici del palo di tortura del Cristo L’espressione si riferisce a coloro che avevano abbracciato il cristianesimo ma se ne erano poi allontanati per adottare uno stile di vita peccaminoso ed egoistico. Questo li aveva resi a tutti gli effetti nemici della vera adorazione (Flp 3:19). Qui l’espressione “palo di tortura” (in greco stauròs) si riferisce alla morte in sacrificio che Gesù subì sul palo. (Vedi Glossario, “palo”; “palo di tortura”.) Gesù morì in questo modo affinché l’umanità non fosse più schiava del peccato ma potesse riconciliarsi con Dio e stringere un’amicizia con Lui. Le azioni di quei “nemici del palo di tortura” dimostravano che non apprezzavano i benefìci derivanti dalla morte di Gesù (Eb 10:29).

sorte O “fine”, “fine completa”. L’ineluttabile fine dei “nemici del palo di tortura del Cristo” (Flp 3:18) è la “distruzione”.

il loro dio è il loro ventre La parola greca koilìa, qui resa “ventre”, si riferisce propriamente all’intestino, le viscere. Qui però è usata in senso metaforico per indicare gli appetiti o i desideri carnali di una persona. (Vedi approfondimento a Ro 16:18.) All’epoca di Paolo alcune commedie greche facevano riferimento al “dio ventre” e alcuni personaggi dicevano che il loro stomaco era “la più grande delle divinità”. Il filosofo latino Seneca, contemporaneo dell’apostolo Paolo, rimprovera a un individuo di essere “schiavo del ventre” (Sui benefici, VII, 26, 4, a cura di M. Menghi, Laterza, Roma-Bari, 2008). Sembra che per le persone menzionate nel v. 18 assecondare i propri desideri carnali fosse più importante che servire Geova. Alcuni forse esageravano nel mangiare o nel bere, arrivando a essere ghiottoni o ubriaconi (Pr 23:20, 21; confronta De 21:18-21). Oppure altri avevano forse preferito sfruttare le opportunità che offriva il mondo dell’epoca piuttosto che servire Geova. Secondo alcuni studiosi, Paolo poteva riferirsi a coloro che seguivano scrupolosamente i precetti alimentari giudaici. Erano così concentrati sull’osservanza di quelle leggi che il cibo era diventato la cosa più importante, era diventato il loro dio.

appetiti O “ventre”. Il termine greco koilìa si riferisce in senso proprio all’addome, ai visceri. Qui e in Flp 3:19 è usato in senso figurato per indicare gli appetiti, o desideri, carnali. In questo versetto Paolo spiega che le persone che sono schiave “dei loro appetiti” non possono essere schiave “del nostro Signore Cristo”. E in Flp 3:19 parla di persone che hanno come dio “il loro ventre”, cioè i loro desideri carnali.

La nostra cittadinanza La città di Filippi era una colonia romana, e questo garantiva ai suoi abitanti molti privilegi. (Vedi approfondimenti ad At 16:12, 21.) Alcuni componenti della congregazione locale forse avevano una qualche forma di cittadinanza romana, cosa che all’epoca era tenuta in gran conto. La distinzione tra chi era cittadino e chi non lo era rappresentava una questione di una certa rilevanza. Qui però Paolo si riferisce a una cittadinanza di gran lunga superiore, quella nei cieli (Ef 2:19), ed esorta i cristiani unti a concentrarsi non sulle cose terrene (Flp 3:19) ma sulla loro vita futura quali cittadini dei cieli. (Vedi approfondimento a Flp 1:27.)

comportatevi O “comportatevi da cittadini”. Il verbo greco che Paolo usa qui è affine ai termini per “cittadinanza” (Flp 3:20) e “cittadino” (At 21:39). Dato che la cittadinanza romana era tenuta in gran conto e comportava sia responsabilità che privilegi, i cittadini romani generalmente prendevano parte attiva alla vita politica o alla vita pubblica (At 22:25-30). Quindi, quando consiglia di comportarsi in modo degno della buona notizia del Cristo, Paolo trasmette l’idea di partecipare alle attività cristiane, specialmente alla predicazione della buona notizia. Visto che gli abitanti di Filippi avevano ricevuto da Roma una forma di cittadinanza, i destinatari di questa lettera capivano bene il concetto di partecipazione attiva. (Vedi approfondimenti ad At 23:1; Flp 3:20.)

siamo romani La città di Filippi era una colonia romana, e questo garantiva ai suoi abitanti molti privilegi, fra i quali forse una forma parziale o secondaria di cittadinanza romana. Questo potrebbe spiegare perché i filippesi sembravano nutrire un enorme attaccamento per Roma. (Vedi approfondimento ad At 16:12.)

Filippi In origine si chiamava Crenide (Krenides). Verso la metà del IV secolo a.E.V. Filippo II il Macedone (padre di Alessandro Magno) conquistò la città dopo aver sconfitto i traci e le diede il suo nome. Nella zona c’erano ricchi giacimenti d’oro, e furono coniate monete d’oro con il nome di Filippo. Verso il 168 a.E.V. Lucio Emilio Paolo sconfisse Perseo, ultimo re di Macedonia, e conquistò Filippi e la regione circostante. Nel 146 a.E.V. tutta la Macedonia era diventata un’unica provincia romana. La battaglia in cui Ottaviano e Marco Antonio sconfissero gli eserciti di Bruto e Cassio, assassini di Giulio Cesare, ebbe luogo nella pianura di Filippi (nel 42 a.E.V.). In seguito, a ricordo della grande vittoria riportata, Ottaviano elevò Filippi a colonia romana. Quando qualche anno dopo Ottaviano fu insignito dal senato romano del titolo di Cesare Augusto, chiamò la città Colonia Augusta Iulia Philippensis. (Vedi App. B13.)

trasformerà il nostro misero corpo perché sia come il suo corpo glorioso Qui Paolo si riferisce alla trasformazione che devono subire i cristiani unti per poter vivere nel mondo spirituale quali coeredi del Signore Gesù Cristo. Devono prima morire come esseri umani; poi Dio, al tempo da lui stabilito, li riporterà in vita con corpi totalmente nuovi (2Co 5:1, 2). Riceveranno corpi spirituali incorruttibili e avranno l’immortalità (1Co 15:42-44, 53; vedi approfondimento a 1Co 15:38). In questo modo il loro corpo umano, misero e imperfetto, verrà sostituito da uno “come” (lett. “conforme”) il glorioso corpo spirituale di Cristo (Ro 8:14-18; 1Gv 3:2).

Dio gli dà un corpo Qui Paolo prosegue la metafora con cui paragona la risurrezione dei cristiani unti alla germinazione di un seme. (Vedi approfondimento a 1Co 15:36.) Usa l’esempio di un piccolo seme di grano che non somiglia per niente alla pianta che nascerà da esso. Il seme “muore” in quanto seme e diventa una pianta che germoglia (1Co 15:36, 37). In modo simile i cristiani unti devono prima morire quali esseri umani. Poi Dio, al tempo da lui stabilito, li riporta in vita con un corpo completamente nuovo (2Co 5:1, 2; Flp 3:20, 21). Gli unti vengono risuscitati con corpi spirituali per vivere nel mondo spirituale (1Co 15:44; 1Gv 3:2).

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Cittadinanza romana
Cittadinanza romana

In questa foto si può vedere una delle due tavolette di bronzo di cui era composto un documento rilasciato nel 79. Questo documento concedeva la cittadinanza romana a un marinaio prossimo al congedo, alla moglie e al figlio. Le due tavolette erano legate insieme e sigillate. Alcuni diventavano cittadini romani già alla nascita, altri acquisivano tale cittadinanza nel corso della loro vita. (Vedi approfondimento a At 22:28.) In entrambi i casi, i documenti attestanti la cittadinanza erano molto preziosi dal momento che, per ottenere certi privilegi, poteva essere necessario dimostrare di essere cittadino romano. Paolo comunque menzionò una cittadinanza di gran lunga più preziosa, una cittadinanza che “è nei cieli” (Flp 3:20).